Passeggiare
per Viterbo medievale,
magari
per mano col tuo amore,
alla
ricerca di scorci poetici e trattorie dai sapori stuzzicanti,
è
esperienza da raccomandare senza mezzi termini.
Indossare
scarpe da jogging invece,
ed
avventurarsi a velocità da crociera
tra
sanpietrini e saliscendi d'antico borgo,
indigestiona
si, d'immagini; ma fibrilla anche coronarie e polmoni,
esaspera
la panoramica comprimendo il rifiato;
stuzzica
l'eco di gomma e muscoli,
e
ne cura il rimbalzo su pareti millenarie
miscelando
le distanze tra afrore e rètina,
abbraccia
le mura di abbraccio ritmato,
squassa
il traffico strepitante
che
s'avvinghia addosso come fossato impotente,
sbucando
poi, improvviso, a silenzio vergine,
attraverso
squarci di varchi che inerpicano alla città vecchia,
dal
respiro sopito,
al
contrario del tuo desueto sfregare polmoni che, tuttavia,
s'adagiano
elastici alla (nella) Storia,
e
s'adattano anche di docile calpestio
sull'acciottolato
sconnesso come il tuo respiro riarso,
fino
ad identificarsi con l'edera ed i lampioni sghembi,
e
i gerani già gonfi di colore che sbirciano da minuscole finestrelle
tifando
composti al tuo vorace passaggio,
dove
un vento disordinatamente di casa sbreccia l'arco
e
le fontane dissetano d'arte scolpita e zampillo ricamato;
gli
architravi di pietra in bilico s'issano a sorreggerti come
protoenergetico
ed
i portoncini di legno incupito spiano i bioritmi;
col
Duomo ad accoglierti, infine, su scalinate
che
hanno visto scorrere sangue e lacrime,
ed
oggi s'accontentano del tuo sudore
a
rendere omaggio al silenzio definitivo
di
piazza immobile.
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