Un'amica mi ha confidato che non avrebbe acquistato l'ultimo Barnum di Baricco, preferendo leggerlo in veste di romanziere.
Mi ha fatto riflettere e precisare quanto di seguito:
Carla carissima, mi ha
sorpreso che una baricchiana doc come te, possa ritenersi poco rapita dagli scritti del Nostro, quando esulino - o lo si voglia credere - dalla
struttura del romanzo.
Baricco, per sua natura,
dissemina diamanti, anche in un aforisma.
I suoi periodi hanno fiato
corto, cortissimo.
Il suo modello di romanzo
non è mai un sipario che spalanca tonnellate di luce, ma infiniti flash a
squarciare il buio, fino a ricamare, col tempo millesimato, una tela compiuta.
Piccoli sorsi, passi
misuratissimi, gesti minimi,
immagini istantanee,
capoversi sospesi.
Da
Seta a La Sposa giovane è sempre stato così. Non si galoppa mai. Parole lente,
dispensate col misurino.
Solo
la punteggiatura spessa e frenetica.
A
mozzare l’emozione, il respiro, la descrizione, la pagina intera.
Addomesticare
l’aspettativa, renderla un turbamento razionale, una suggestione familiare,
riconoscibile. Anche quando si mira ad orizzonti estesi, in realtà si
accartoccia l’infinito in un amen.
Il
mare aperto è in una mano, la strada che torna, la storia che si ripete.
E
nei suoi Barnum non tradisce il passo cadenzato.
Raccolta
di articoli che spaziano in un arco temporale di quindici anni, ma dove anche
nel meno recente, non si avverte affatto la sensazione di “datato”, anche
perché Baricco è sempre una quindicina di anni avanti quando scrive di
attualità, analizzandone ragione e scopi. E lo si riconosce. Stilettate brevi,
ad evidenziare i suoi perché e i suoi percome, tentando, riuscendoci, di
configurarli ai nostri.
Lui
lo narra un articolo. In due pagine riesce a descrivere un’epica.
E
te la fa respirare, quieto.
Pensi
di leggere uno scampolo, ma vivi un piccolo romanzo fiume.