Io Antonella
la conosco solo da qualche anno.
Un feeling fatto di affinità,
piccoli gesti, spesso perché indoviniamo un sorriso prima che venga
svelato, o perché riconosci tracce di approccio comune alle cose
belle e brutte della vita.
Amica di
amici comuni. Maestra di scuola materna e collega di mia cognata. Una
vita non semplice, un marito che getta la spugna, una figlia, ormai
grande, cresciuta da mamma coraggiosa.
Poi è
ancora amore, un nuovo compagno, un anno fantastico, i sogni che si
rimaterializzano, i sorrisi che sgorgano dall'anima.
Ma ancora,
di nuovo, buio.
Di quelli
che ti s'attorcigliano, che ti tirano giù, ancora un abbandono, il
mondo che ti cade addosso, gli uominichebastardi, e noi amici,
anche recenti, come me, a ricucire ferite, a raccontare le proprie,
di sconfitte, per dimostrare che si può risorgere sempre; e le cene
fuori, i cinema, una discreta sintonia dettata da istinto di
protezione, le lacrime asciugate, forza da trasmettere, sogni
stropicciati da poterli stendere ad un nuovo sole.
E un giorno,
su facebook, eccoti Antonella chiedere ai suoi amici chi ricordasse
le origini della loro amicizia, e qualcuno nominare San Policarpo, la
mia parrocchia di Cinecittà, ed io a chiedermi
- ora che abitiamo
entrambi all'Eur e dintorni -
“Ma che ci
incastra Antonella con San Policarpo?”
Allora
glielo chiedo e lei mi dice
“Ma io abitavo lì, a Via Caio
Canuleio, e pensa che mi ricordo una famiglia Battaglia nel mio
palazzo, magari sono tuoi parenti..”
E io” No,
non è possibile”. A questo punto è come saperlo. D'improvviso lo so.
La memoria
si apre come antro magico a parola d'ordine.
Ebbene si.
Abitavamo nello stesso palazzo. Io più grande, lei cinque anni di
meno. Lei trasferita a 15 anni ma tutta una infanzia ormai sopita.
Sepolta di fuliggine passata.
E quando
(ri)scopri tutto questo, oltretutto il giorno di Pasqua, fai fatica a
deglutire.
Metti a fuoco come una ghiera impazzita, sfogli memorie
arrugginite che stanno risorgendo anche loro, ti giungono da retrovie
polverose flashes d'immagini accatastate al buio di un nullapiù,
mentre entrambi, ora, al telefono in macchina e luoghi separati, in
movimento coi rispettivi parenti per una serena Pasqua di famiglia, buttiamo
giù nomi, luoghi, cose a cascata, con le rispettive mamme di fianco
che rievocano d'improvviso comunioni come fosse ieri, mia sorella
che giocava con te da bambina, ed è un frenetico scambiarsi voci al
telefono e i ricordi vengono su freschi e fragranti come tortellini
gonfi nell'acqua bollente, e rinominiamo mezzo palazzo, e quelli che
c'erano e quelli che non ci sono più, è come ritrovarsi al paese
d'origine perché, in città, è il condominio il tuo paesello,
allora ti chiedi come hai fatto a non riconoscere la bambina di
allora, anche se sono passati più di trent'anni, ti sale una
bellissima emozione, perché è come riallacciare fili invisibili,
coi quali sei cresciuto almeno per qualche tempo, che hanno
contribuito a fare di te quello che sei, e magari a scorgere una
qualche luce nella tua amica adulta di oggi che rifletteva pensieri
ovattati di una bimba dai capelli neri, a gironzolare in biciclettina
nel terrazzo al piano terra.
Piccolo il
mondo. Per fortuna.
Ciao Anto.
Un bacio grande.