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martedì 16 luglio 2013

KOS

17 agosto 2009


Arriviamo a Kos in perfetto orario. L’albeggiare è sereno. Ci preleva un taxi. Ventotto i km fino all’albergo e l’isola si sgomitola davanti con una luce delicata che gradatamente svela curve, rettilinei, saliscendi, profili grezzi di montagne a segnalare cupa imponenza lungo il loro fianco da costeggiare, la vegetazione è modesta ma costante, l’urbanistica disordinata ed affollata ma, soprattutto, niente mare. Stiamo procedendo lungo la dorsale dell’isola, gli studi delle piantine geografiche prepartenza ci rendono sempre vagamente coscienti di luoghi, distanze e geografie altrimenti sconosciute, l’impatto è comunque guardingo e colmiamo la vista di sensazioni senza curarci di capire, immaginiamo solo, voraci e curiosi, anche se sconvolti da una notte semi insonne, ed al termine eccola la costa, con la Turchia quasi da toccare di fronte, ed il mare immobile del mattino a respirarci. Siamo arrivati Kos! Ennesima isola greca di un Egeo che non termina di appassionarci.



30 agosto 2009



Partenza da Kos. Ancora prima dell’alba stavolta, ed ancora taxi che in senso inverso ora, ci riporta in aeroporto. Ma stavolta è percorso di memoria strappata con altro spirito, album febbrilmente sfogliato. In 13 giorni l’isola si è rivelata. Come amiamo sempre dire con Lulù dopo anche solo poche ore di frenetico girovagare in nuovi luoghi: Kos non ha più segreti. Scorribandata a piedi ed in scooter in lungo e largo, alto e basso. Ogni metro è riconosciuto, ogni svolta nasconde un paesaggio, un richiamo, ogni incrocio si dischiude familiare, ogni ansa svela rivoli di strade battute che affollano memoria concitata ed ognuna moltiplica le visioni, che siano di chiesetta isolata – macchie bianche e blu affogate nel silenzio - spiaggia infinita, stradina dal convulso shopping o castello veneziano di solitaria vedetta. Ogni angolo ci saluta discreto mentre il taxi procede inesorabile e silenzioso con le nostre faccette incollate ai finestrini, è un addio confidenziale anche se di velato rammarico, un vicendevole ringraziarsi, un custodire meticolosamente impressione e sorriso ad ogni curva che dissimula storie ancora pulsanti, un tuffo nel cobalto od uno sbirciare Storia ancora irrequieta ed in un soffio affiora il ricordo delle cene al vento, quel quieto mangiare a tenue brezza d’isola che colora sapori disegnando la sera d’aromi allo tzaziki, ed ancora le ore col meltemi lieve e costante che t’assuefa al sole più spavaldo. L’isola si raggomitola discreta tra mille sfumature, e sembra augurarci quel delizioso “have a nice day” che ci ha accompagnato per l’intera vacanza, un delicato formulare il buongiorno che in questo pezzetto di paradiso risulta candidamente superfluo.

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