"Tra il 4 e il 5 dicembre 2021 si è tenuta Laventicinquesimaora, il premio letterario della Scuola Belleville dedicato ai racconti brevi. 25 ore per scrivere un racconto non più lungo di 3600 battute.
La traccia di questa settima edizione era: “La fine è nota.
Scrivete un racconto che cominci dal finale e finisca con l’inizio”.
Ho partecipato, purtroppo senza classificarmi.
Ora posso pubblicarlo anche qui.
“Quel
cotto fiorentino sembrava ora ancor più vivido, col sangue denso a percorrerne
superfici e fughe”. Ero arrivato al punto.
Ma il punto non ne voleva sapere, si
guardò indietro, o meglio sopra, e cercò un appiglio in quella parete di
lettere a strapiombo che sembravano soverchiarlo.
Mise un piede, poi l’altro, scalò l’ultima riga
rigonfia di epilogo appiccicaticcio come sangue già rappreso, prese le misure
dal fondo di quel baratro e iniziò ad arrampicarsi deciso, sgusciando tra
perifrasi e analogie, agganciando parentesi e salutando a malapena virgole e altri
punti che oziavano a guardia del periodo.
Risalendo a fatica, ma con occhio
curioso, trovò la trama artificiosa e melensa, e forse proprio per questo maturò
il rifiuto quasi istintivo di risultare l’artefice ultimo di una storia che
sapeva di convulso e farlocco, dove lei si abbandona ad un tardivo ravvedimento
e lui non le perdona il tradimento del primo paragrafo, ma neanche la recidiva
col garzone a pag. 4, così come la fuga fuori città di fine capitolo; solo
simulando, poi, una magnanima, nuova accoglienza in quel ritorno pretestuoso e
gravido di sospetto.
Ora può un solo
punto, dico io, caricarsi l’onere di tanta tensione, di immenso rammarico,
rabbia e tormento, mettendosi a fine di tutto con un solo, scellerato, colpo di
pistola, seppur accompagnato da un misto di sorpresa e sgomento, e lasciando,
appunto, che solo un punto - e neanche esclamativo - chiuda a bruciapelo la vicenda? Senza curarsi
dell’affanno, del panico suscitato, di un corpo ancora caldo, del sangue a
scorrere via solo ravvivando un cotto fiorentino? Un semplice punto a toglierci
d’impaccio? Non era possibile, voleva vederci chiaro stavolta.
Non avrebbe
gestito una chiosa tragica senza comprenderne i reconditi perché. Voleva
scorgere la passione iniziale negli occhi di lei, godere di un sorriso, di una
carezza rubata, di un sogno a due che poteva essere vita splendida, senza alcun
punto ad interrompere mai fiaba e aspirazioni.
Arrivò perciò fino a quella F
maiuscola di inizio racconto, una F di luminoso ardore che vedeva quel punto
come un’insignificanza lontana e inconcepibile, la F di Finalmente: finalmente
l’amore, la gioia, l’impazzimento dei sensi, tutto senza ombra e fiato di punteggiatura alcuna, figuriamoci
un punto poi.
E il punto ci arrivò a quel cospetto, vagando a ritroso tra gelosie,
colpi di mano, ripicche; fino a scorgere e sfiorare sfumature di complicità, intenti
armoniosi, traiettorie di relazione, come si rincorre una sorgente di acqua
pura, stanco di dover solo chiosare, di decretare finali, arginare
l’inchiostro, interrompere sogni.
Il punto disse “ciao!”, ma l’inizio comprese
subito che quel saluto non era affatto di buon auspicio, ma anzi foriero di
oscuri esiti, e non aveva intenzione di ravvisare alcuna fine per quell’idillio
appena nato.
Fece finta di afferrare la mano tesa ma, d’istinto, rigettò il
punto per la ripida parete scritta, e lui scorse di nuovo, ma stavolta nel
verso esatto - seppur nella convulsa caduta - l’infatuazione, l’amore, la
passione, e poi la noia, la distrazione, la gelosia, e ancora malcontento e rabbia, il furore cieco e la violenza pura,
fino al sangue e anche lui medesimo, a fondo pagina, dove quel precipitare avrebbe
posto fine ad una nuova storia immensa, riducendolo stavolta in rivolo cremisi di punto frantumato.
“Finalmente l’eterna felicità e nessuna fine mai”