La posizione della critica è sostanzialmente mutata, da quando, nel 1924,
Richard Austin Freeman scriveva: “I critici e i letterati di professione
tendono a bandire con disprezzo il romanzo poliziesco (per usare la
denominazione poco elegante sotto il quale il genere è ormai universalmente
conosciuto) come qualcosa che si colloca al di fuori del dominio della
letteratura e a considerarlo un prodotto di scrittori rozzi e assolutamente
incompetenti, destinato a fattorini, commesse e, insomma, ad un pubblico privo
di cultura e di gusto letterario”.
A conferma della dignità ormai riconosciuta al genere, si possono considerare
le parole di Borges: “Che cosa si può dire come apologia del genere poliziesco?
C'è una constatazione evidente da fare: la nostra letteratura tende al caotico.
Si tende al verso libero perché è più facile del verso regolare; la verità è
che quest'ultimo è molto difficile. In questa nostra epoca, così caotica, c'è
una cosa che, umilmente, ha conservato le virtù classiche: il racconto
poliziesco. Non è possibile concepire un racconto poliziesco senza principio,
parte centrale e fine [...]. Io direi, in difesa del romanzo poliziesco, che
non ha bisogno di difese; letto con un certo disdegno, ora sta salvando
l'ordine in un'epoca di disordine. E questa è una prova meritoria, di cui
dobbiamo essergli riconoscenti”.
E' tradizione attribuire l'ideazione del genere poliziesco ad Edgar Allan Poe
che, nel 1841, diede alle stampe I delitti della via Morgue,
un racconto lungo in cui, mediante la detection, ossia
l'indagine per scoprire un delitto, fu per la prima volta proposto al lettore
un intreccio complesso, caratterizzato dalla rapidità d'azione e da frequenti
colpi di scena. Risolutore dell'enigma Auguste Dupin, personaggio che costituì
l'antesignano del detective, cioè dell'investigatore.
Poe conosceva certamente le Mémoires attribuite
a Eugène François Vidocq, un ex criminale divenuto collaboratore della polizia,
che fondò la prima agenzia di investigazione privata; il testo, pubblicato nel
1828, era divenuto infatti assai famoso e fu tradotto anche in inglese da
George Barrow.
Peraltro, secondo il sinologo Robert Hans Van Gulik, il poliziesco vanterebbe
in Cina origini ben più remote, risalenti persino all'VIII sec.a.C. Una
esemplificazione di questa tipologia è fruibile grazie all'opera di
Xihong, Gli strani casi del giudice Li, pubblicata nel 1902 che
rielabora appunto antiche tematiche, incentrate su un leggendario risolutore di
enigmi.
Bisogna inoltre sottolineare che, così come il testo di Xihong ebbe grande
fortuna in un momento in cui la Cina era pervasa da numerosi fattori di
instabilità sociale, anche il racconto poliziesco si diffuse in Occidente nella
seconda metà del XIX secolo, quasi in risposta all'ondata di criminalità che
minacciava di sconvolgere le regole e gli ordinamenti dei centri urbani. Le
cronache riportavano notizie di efferati delitti e allo stesso tempo i testi
narrativi offrivano garanzie di smascherare il colpevole, svolgendo in tal modo
un effetto liberatorio nei confronti di paure divenute sempre più assillanti.
Contemporaneamente furono costituiti i primi corpi di polizia, si affermava lo
studio dell'antropologia criminale, con l'intento di descrivere la personalità
psichica e somatica dell'uomo delinquente nei suoi rapporti con l'ambiente
sociale, e nascevano circoli di appassionati virtuali investigatori, quali gli
iscritti al London Detection Club.
I racconti polizieschi ripropongono dunque una contrapposizione effettivamente
riscontrabile nella realtà tra il criminale, sovvertitore delle regole, e il
poliziotto, difensore delle medesime.
Il ritorno all'ordine è del resto garantito anche dal metodo di cui si vale il
detective, o investigatore, per condurre la propria indagine. Egli ricostruisce
scrupolosamente i nessi causali tra i vari fatti di una vicenda criminale: nel
testo scritto non esiste alcun mistero inspiegabile, infatti il mistero cessa
d'essere tale allorché i dati disponibili sono ricondotti alla legge di
causa-effetto. Deduzione, inferenza, induzione, ipotesi, verifica, teoria: il
lessico dei detective è caratterizzato da parole chiave acquisite dal
sottocodice proprio dei manuali di logica. Non manca neppure il paralogismo,
l'arte del falso sillogismo.
Essenzialmente ogni detection si
basa su un ragionamento induttivo, suffragato dall'osservazione dei fatti, e
soprattutto sulla chiave interpretativa da applicare ai fatti stessi, nella
consapevolezza che gli indizi, se creati ad arte, possono essere volutamente
fuorvianti.
Questa tecnica delle false tracce, del resto, non è estranea neppure alla
tradizione classica, basti pensare al gigante Caco, di virgiliana memoria (Eneide, VIII), che, per trafugare le vacche di Eracle,
le conduce alla propria spelonca, trascinandole per la coda, in modo da
lasciare impronte orientate nella direzione sbagliata. Ed ancora lo Pseudo
Turpino, nella Historia, ci informa che Carlo
Magno ferrò i cavalli alla rovescia, per eludere i propri inseguitori. In tale
ottica, scrivere un racconto poliziesco equivale a risolvere un problema
algebrico e a lanciare una sfida al lettore, che deve disporre di tutti i dati
indispensabili per risolvere, a sua volta, l'enigma.
Ambiente, vittima, assassino, sospettati e detective: Wystan Hugh Auden
riconosce in questi 5 elementi gli ingredienti costitutivi del poliziesco.
Personaggio chiave di tale narrativa il detective, la cui caratterizzazione
antropologica, psicologica e persino somatica assume valenze peculiari in
relazione al grado e alla qualità della partecipazione dedicata al caso in
analisi e agli individui coinvolti: Maigret di Simenon si emoziona a contatto
con le avventure degli uomini che incontra; padre Brown di Chesterton sa
cogliere i segni di una divina poesia anche nel cruento clima cittadino;
Sherlock Holmes di Conan Doyle sembra estraniarsi dall'atmosfera di tensione
che il delitto evoca, immergendosi impassibile, con snobistico distacco, nelle
musica e nel fumo; Lecoq di Emile Gaboriou è dotato di prodigiosa perspicacia
grazie alla propria mentalità criminale; mentre Cuff di William Wilkie Collins,
a parere di T.S.Eliot, risulta essere “una personalità reale e attraente, ed è
brillante senza essere infallibile”.
A volte il ribaldo riveste il ruolo fondamentale dell'eroe, così Arsenio Lupin,
ladro gentiluomo ideato da Maurice Leblanc, Fantomas di Alain e Souvestre,
oppure Rocambole di Du Terrail.
Gli schemi narrativi più diffusi sono il racconto-enigma, che si sviluppa a
partire da un delitto già avvenuto, cioè dall'effetto, per risalire alla causa,
ossia al movente del crimine, e il racconto-azione, in cui i fatti criminosi e
le indagini si svolgono pressoché in parallelo.
Il racconto-suspense assimila invece i due schemi precedenti: il protagonista
svolge all'unisono i ruoli diversi di investigatore, di virtuale colpevole agli
occhi di altri personaggi e di potenziale vittima.
Nel racconto-enigma l'opera d'investigazione, dal punto di vista cronologico,
procede dunque a ritroso, dalla scoperta del crimine all'antefatto, nel
tentativo di rinvenire la sequenza sepolta del non detto.
Lo scarto tra fabula e intreccio è pertanto massimo e, in un certo senso, si
può aggiungere che proprio la detection, mentre
stabilisce i nessi logici tra i dati essenziali, o indizi, presentati in
successione deliberatamente incongrua, ricostruisce la fabula, la dimensione
veramente essenziale e significativa del cosmo narrativo istituito dal genere
poliziesco.
La struttura fondamentale del récit consta di
un reticolo che comprende alcuni elementi costanti:
· il preludio, talvolta assente, svolge una funzione simile a quella della introduzione,
e contribuisce a determinare una atmosfera carica d'angoscia;
Sono per questo utilizzati espedienti dilatori che modificano il grado di
conoscenza dei fatti in base a orizzonti di consapevolezza riassumibili, sulla
scorta di Tomaševskij, nelle seguenti modalità:
· il lettore sa / i personaggi
ignorano
· alcuni personaggi sanno /
altri ignorano
· il lettore sa / alcuni
personaggi ignorano
· nessuno sa niente
· la verità è scoperta per caso
· i personaggi sanno / il
lettore ignora.
Nelle opere degli autori anglosassoni l'intreccio mette in risalto l'indagine
quale tema conduttore, a differenza delle opere dei francesi che, solitamente,
danno maggiore importanza all'enigma.
Negli anni '20-'30, le regole per scrivere polizieschi furono addirittura
codificate, basti pensare alle venti norme descritte nel 1928 da S.S. Van Dine,
che si possono riassumere nei punti sotto citati:
· sono essenziali un detective,
un colpevole e una vittima;
· il colpevole non deve essere
un professionista del crimine, ma una persona che gode di un certo prestigio
sociale;
· il colpevole è uno dei
personaggi principali;
· la tematica amorosa è esclusa;
· i fatti devono essere
comprensibili secondo una spiegazione razionale;
· temi fantastici e digressioni
a carattere psicologico sono bandite;
· le informazioni sono fornite
tenendo conto della omologia: l'autore sta al lettore come il colpevole sta al
detective.
Non tutte le regole stilate da Van Dine sono ancora attuali, anche perché il
genere ha subito numerose trasformazioni dovute al proliferare dei sottogeneri:
ad esempio il thriller, interamente giocato sulle emozioni violente e paurose che suscita nei
lettori, oppure la hard-boiled
story, il racconto “spietato” che fa
esplodere nelle azioni del serial-killer le angosciose tensioni della violenza
metropolitana.
In ogni caso il poliziesco è una macchina narrativa guidata da artifici di
suspense in vista di un finale sorprendente. Impensabile, inedito,
sconvolgente: l'epilogo deve essere all'altezza dell'alto voltaggio emotivo cui
il fruitore è stato sottoposto nel corso degli avvenimenti rappresentati, pena
il fallimento dell'intera opera.
Tuttavia T.Narcejac sostiene che la soluzione dell'enigma non produce senso di
appagamento nel lettore, che si sente improvvisamente defraudato dal senso di
piacevole indecisione perdurante nel corso della storia.
Studiare il poliziesco comporta un confronto con la tradizione culturale
connessa al genere, in una prospettiva complessa che tenga conto del gusto, del
costume, della sensibilità del pubblico, delle istanze economiche e politiche
caratterizzanti il clima sociale ed anche dell'influenza dei mass-media.
Nel 1929, Marjorie Nicolson scriveva: “Nel romanzo poliziesco assistiamo con
piacere al ritorno ad un'etica e ad una metafisica antiche [...]” . Questa
soddisfazione, che deriva dalla capacità di trarre conclusioni inequivocabili
dalla osservazione delle cose e dal conseguente trionfo della verità e della
giustizia, nella produzione contemporanea, ha invece ceduto il posto a un
diffuso sentimento di sconfitta, persino qualora il criminale venga scoperto.
Emblematico, in tal senso, il ruolo giocato dai serial-killer che realizzano i
propri programmi criminali anche dopo essere stati individuati o addirittura
essersi consegnati ai poliziotti, come attesta la recente cinematografia, ad
esempio Seven del regista David Fincher, la cui sequenza
delittuosa si ispira ai sette peccati capitali, consumati secondo una logica
intrisa di riferimenti letterari danteschi e miltoniani.
Secondo Bertolt Brecht “Sono esclusivamente le condizioni sociali che rendono
possibile o necessario il delitto: sono esse che violentano il carattere, così
come sono esse che lo hanno formato” .