Gestire
la scuola a Scampia stava diventando come una missione in terra
aliena: un luogo dispensatore di cultura e umanità, avvertito dai
locali quasi come una limitazione alla libertà ed un ostacolo da
eliminare, o almeno contenere.
Aprire
una cristalleria nella giungla sarebbe stato meno folle.
E
a Gaetano era venuta un'idea ancor più folle.
Quel
bidello che sembrava aver trovato una collocazione definitiva come a
somatizzare il suo passato per nulla limpido, un continuo esporsi
sulla linea di confine tra illegalità e di piccoli lavoretti
saltuari ed inevitabilmente a nero e con essi l’incostanza, la
rabbia e l’ insofferenza che ne derivavano.
Una
veste finalmente “autorevole” proprio in quella scuola
spericolata, nel bel mezzo del quartiere più temuto, con lui a
regolare accessi e uscite, gazzarre e urla di corridoio.
Aveva
parlato col Preside, il vecchio Prof. Spaziale, uno affatto dedito
alla causa: avrebbe solo voluto passare quei pochi anni di servizio
che ancora gli rimanevano, vicino casa. Insisteva da tempo col
Ministero, era stufo di Pescara e di quel mare finto, dei tramonti in
campagna col mare buio, e questi ingrati, alla fine, proprio per
zittirlo, gli avevano proposto cosa? Scampia! Proprio a lui! Certo
non ci aveva messo poco a tacere i mille scrupoli.. ma ora era vittima dell’insubordinazione e della strafottenza, e quando Giacomo l'aveva
buttata là: “Mettiamo i cancelli ai piani, le chiavi le tengo io,
evitiamo le fughe di metà mattinata, e gli ingressi dei non addetti,
dei mariuoli che vogliono solo vedere cosa c'è da rubare”.
Invece
di ribadirgli che stavano in una scuola, non in un carcere di massima
sicurezza, si era arreso all'evidenza. “Ok, proviamo”.
Il
Ministero gli aveva dato carta bianca: “Inventati quello che ti
pare” sembrava fosse scritto tra le anonime righe in burocratese
con le quali lo avevano investito di una mission impossible.
E
così, ogni santo giorno, Gaetano disciplinava i varchi, faceva
entrare chi ne aveva diritto e faceva uscire solo a fine lezione o
per necessità giudicate davvero serie.
Scuola
o carcere non faceva differenza nella sua testa. Bisognava fare sul
serio.
C'era
da costruire un futuro, e bisognava essere forti e tosti.
Più
tosti di quelli là fuori.
Più
tosti di quanto non fosse mai riuscito ad esserlo lui.
E
anche se professori e studenti storcevano il naso, lui si era preso
quella briga, spalleggiato dal Preside e da pochi altri insegnanti.
Il
bello è che sembrava funzionare.
Nel
suo peregrinare tra piani e classi, davanti alla III G Gaetano ci
passava spesso, gettando un occhio curioso.
Perché
in quella classe c'era un solo studente, Lorenzo, che sembrava
resistere. Che stava resistendo.
Dopo
un inizio di anno scolastico scorbutico, con l’arrendersi arrogante
e spocchioso degli altri sette compagni di classe e di strada -
comunque sempre troppo pochi - l’aula si era addirittura ridotta ad
un solo elemento; ma Lorenzo si stava lentamente convincendo come la
scuola davvero potesse essere l’unica soluzione possibile per
poterlo affrancare da un futuro a senso unico.
E
teneva duro assieme al coinvolgimento, all’interesse che lo
contraddistinguevano, la voglia di conoscere, di costruire qualcosa
di diverso da un futuro senza sbocchi.
Al
termine del consueto giro, Gaetano aveva deciso per una mossa davvero
intrepida: fermarsi in quella classe, dapprima come per rassicurare
quella prof che sembrava disperatamente attaccata a quell'ultimo
studente rimasto, da non perdere assolutamente, da tenere custodito
come una rarità; eppoi anche stuzzicato dalle sue lezioni, da
quell'esprimersi fluido; era come affascinato da storie che aveva
sempre sentito solo da lontano, materie sfiorate, una mitologia di
sapere lontanissima dal suo vivere troppo spesso alla sola insegna di
una cruda materialità: ruvida legge di strada.
Anche
la prof. ssa Bilardo, che sapeva quanto Gaetano si prodigasse
affinché le lezioni avessero regolarmente corso, si preoccupava ed
era felice di quella sua - teoricamente anomala - sensibilità.
Gaetano era sempre un po’ orso, interloquiva con pochissime parole,
teneva sempre le distanze, ma più per paura di non essere
all’altezza, che per quell’arrogante distacco che spesso filtrava
dagli indigeni scampiesi.
Notava
le assenze e sottolineava i suoi timidi interventi.
E
la “prof” era una che ci credeva invece, ci credeva davvero.
Napoletana
orgogliosa e verace, come una vongola di mare aperto, filtrava
invidia e pregiudizi e li ricacciava in gola a tutti. Con un solo
sorriso.
Quella
scuola l’avrebbe edificata lei se avesse potuto, ora che ci era
entrata, i suoi ragazzi ne sarebbero usciti a testa alta.
Ci
aveva messo l'anima in quell'istituto, affezionandosi a quella decina
di scapestrati, anche se la maggior parte stava fuggendo via, come i
suoi mici raccolti in strada.
A
maggior ragione in quella III G dove era rimasto solo Lorenzo.
Gli
voleva un gran bene. Voleva bene alla sua riservatezza, ai suoi
silenzi, a quel seguirla incantato tra Storia e Geografia, Poesia e
Matematica...
E
anche a Lorenzo, unico superstite di quella strana classe, faceva
piacere che il bidello assistesse alle lezioni, lo faceva sentire
come di esempio, e spesso lo andava a cercare lui per i corridoi, gli
piaceva averlo in classe per certi versi e pensava di dover sfruttare
e - in qualche modo - già restituire, le occasioni che gli venivano
porte. Lorenzo si stava ergendo a paladino di un futuro incerto,
contro un futuro che di certo dispensava solo apparente vita facile.
Vita
a perdere.
Era
una scuola in trincea, con una guerra silenziosa di sottofondo, e
dietro i cancelli si combatteva per una causa comune, una speranza
tutta da costruire.
La
sera poi, Gaetano spesso si ritrovava davanti alla sua vecchia
macchina del gas, magari a cuocere una paio di uova, ripensando ad
un’altra giornata volata via, all'eco dei cancelli, ai sorrisi di scherno e sfida e a quei concetti di logica e
aritmetica che tentava di carpire
e quando Lorenzo gli si avvicinò
piano. Quasi neanche lo avvertì:
“Papà..
però glielo dobbiamo dire alla prof.. almeno sa che perdo un sacco
di tempo a farti ripetizioni la sera...”
Gaetano
voleva custodire per se quel segreto, aveva cresciuto Lorenzo da
solo. La madre li aveva abbandonati entrambi con il piccolo appena
nato e lui non si era mai sentito all’altezza di un compito
destinato ad una mamma, ma quel figlio fortemente voluto era
diventato l’unica forma di riscatto. Costantemente in conflitto con
la sua vita, con le amicizie maledette, errori su errori.
Non
voleva che Lorenzo ripercorresse le sue orme.
Doveva
essere un padre ideale. Non come esempio da seguire.
Ma
esempio da evitare.
Gaetano
andava in “controtendenza”. Sarebbe stato lui a seguire le orme
del figlio. E Lorenzo sembrava ascoltarlo, almeno per ora; non si era fatto irretire
dal fascino della malavita, quella sindrome di “gomorra” che
sembrava imperversare eccitando le nuove generazioni, anziché
indurle ad una revisione di pensiero.
Voleva uscirne. E non da solo.