Anderson
adora le psicologie fragili, ed anche con questo bignamino dell'eros
e thanatos vorrebbe sedurre attraverso una vicenda apparentemente
forte, racchiusa come un messaggio tra le cuciture di un abito.
La storia è
presto detta: Reynolds è un sarto rinomato, pedante, monotono e
isterico, cura con la sorella androide un atelier presso il quale si servono
nobili e reali, maniaco del lavoro, dedica ai rapporti sentimentali
brevi fiamme coinvolgenti, per poi reimmergersi nel suo climax ideale
tutto merletti, ricami e tessuti.
Un giorno
incontra Alma, camerierina rupestre dall'aria assai
albarohrwacheriana, che lo intriga a nuovi entusiasmi e corre a
vivere con lui.
Ma il nostro
(un Daniel Day-Lewis forse all'ultima esibizione attoriale, come da
lui stesso annunciato da tempo) si stuferà presto e la nostra eroina
Alma dovrà inventarsi qualcosa per legare a lei per sempre il
capriccioso stilista.
Ora da più
parti mi si parla di “capolavoro”, di “poesia”, di “incanto
visivo”.
Faccio
davvero fatica a percepirne anche in minime dosi.
Una storia
iperbolica dove tutto oltrepassa il limite del “buon senso”, ad
iniziare dal sarto morbosamente paranoico, passando per la sorella
badante che gestisce rapporti ed economia aziendale, per finire alla
nostra camerierina presentata inizialmente come sbadata e col tipico
rossore guancesco delle fanciulline campagnole, ma pronta a mollare
tutto al volo per dedicarsi al bel mondo del lusso e della moda.
A doveroso
corredo: abiti orrendi (quello iniziale da Biancaneve, riproposto
anche più tardi, un vero must dell'orripilant), musiche
stucchevoli, colori appassiti a rendere le atmosfere baluginevoli,
primi piani insistiti, particolari di pizzi, stoffe e trame.
“Fai di me
quello che vuoi ma fallo con delicatezza” questo il preambolo col
quale Anna si dedica al sarto pazzariello, e lei, con la sua faccetta
quasi sempre accigliata e spettinata, comprenderà di doversi
sostituire come musa alla madre protettrice del nostro eroe,
scomparsa da tempo, e della quale il nostro sarto conserva una ciocca
di capelli nella giacca ad altezza cuore per averla “sempre
accanto” (non indossando solo quella giacca, immaginiamo che abbia
distribuito l'intero scalpo materno in tutte le sue svariate
giacchette che indossa prima di cena, dopo cena, per la passeggiata,
dopo il bagno, per la colazione e mentre disegna altri terrificanti
vestiari).
E anche se
quella frase di Anna preluderebbe a piccanti sequel, tranne qualche
casto bacio, nulla sapremo mai di cosa accade nel segreto dell'alcova
tra il sarto schizoide e l'ex cameriera senza tette, una sorta di
cinquanta sfumature al contrario dove tutto sfuma tranne gli
istericismi troppo spesso gratuiti di sarto e clienti.
Il tutto
pervaso da una vaga sindrome di Stoccolma, dove il sarto strambo
dalla guida demenziale e dalle colazioni ipercaloriche dovrà
prendere coscienza della sua dipendenza da Alma, fino a quando le
dosi di questo amore col bilancino diverranno letali.
Lo
spettatore intanto potrà illudersi di aver assistito ad un
capolavoro vicino tanto così all'Oscar, oppure prendere atto che gli
eccessi non possono pagare, ne' in sartoria ne' dietro la macchina da
presa, ma questo è Anderson del resto (Magnolia insegna), e anche
questo un film “cucito su misura” per i suoi fans.