A me piace il Gramellini parlante,
oppure quello sprint, che trafiletta i suoi Buongiorno su La Stampa; quando
invece si dilunga romanzando, tende al melenso e proprio a quella ruffianeria di
fondo che vorrebbe evitare.
Bellocchio ci casca in pieno e ci
aggiunge del suo, pur auto criticandosi e mirando in qualche modo a dissacrare le
intenzioni.
Il superamento del lutto e
dell’abbandono diventa un macigno insormontabile per un ragazzino ignorato dal
padre, gestito con scarsa sensibilità dai parenti e dalla tata, trattato
ingenuamente da preti sempre al limite del ridicolo o dell’inadeguato (come
piace disegnarli a Bellocchio).
Gli resta giusto Belfagor a trarlo
d’impaccio, telefilm che ha terrorizzato una generazione di attuali sessantenni,
e che lui elegge a invisibile mentore.
E’ pure sfigato a tifare Toro e ad aver,
così, rari spunti di soddisfazione.
Lo scorgiamo con la mamma già depressa e
un po’ sadica - nel nascondino per casa dove lei tarda a rivelarsi -, o con gli
amichetti ribelli e benestanti con le loro madri schizzate e problematiche (ma
invidiate), con i busti napoleonici nel vuoto (chi non ha mai gettato una
statua dalla finestra?), e crescendo, con i suicidi di ricconi dolenti nella
stanza accanto, o alla scoperta del cinismo più bieco come inviato in una
Sarajevo insanguinata, o con gli attacchi di panico sedati al telefono - ma
guarda caso! - da quella che diverrà la futura consorte.
Fino al ballo liberatorio da
protagonista. Lui che non aveva mai ballato..
Poi la scoperta del suicidio della mamma,
tramite un giornale sempre stato in casa ma tirato fuori per l’occasione da una
vecchia amica della madre.
E finalmente, la liberatoria scelta di
bruciare tutto. Presente e passato.
Scorgendo nuovo futuro.
Una vita costellata di vaghi eccessi che
fanno dubitare anche sulla reale corrispondenza del narrato.
Il clou è nella letterina piena di
caramellosi stereotipi, in risposta a un
tizio che vorrebbe farla fuori, la madre.
“Ma come? Tu fortunato essere, corri ad
abbracciarla tua madre e tientela bella stretta”.
Lì, il nostro, diventa l’eroino di redazione ma, a mio avviso,
centra bene la situazione il vecchio giornalista che gli telefona per
congratularsi dell’exploit:
“A Massimo, a te il libro Cuore te fa
‘na pippa”
Quando l’esperienza ci vede lungo…