Si
parte a mezzanotte dal Pireo. Il Superstar Ferries inghiotte caldo e
denso Egeo notturno, fino a prosciugarlo all'alba, sulle rive di
Amorgos.
La
nostra isola che chiude il cerchio delle Cicladi verso est.
Isola
aspra. Innervata di curve che issano in vetta e precipitano in baie
azzurre e verdi come su un ottovolante impazzito, tra il mare
turchese che tira giù tra vento e sale, e il cielo azzurro,
costantemente orfano di nuvole e ubriaco di sole.
Costellata
di mille chiesupole bianco accecante e parentesi di paesi avvinghiati
alla pietra lavica.
Le
invasioni arabe e di millemila pirati hanno condizionato arroccamenti
improbabili lontano dal mare, Kastri inespugnabili su cime squassate
dal meltemi.
Grumi
di case e chiese strette in abbracci sensuali a dominare un Egeo
tanto pericoloso e temuto ieri, quanto quieto e affascinante oggi, a
custodire ogni sera tramonti squagliati, prologo a lunghe
passeggiate dopo cena, col mare immobile a ricrearsi, e sentieri
resi luminosi da polvere di luna...
Amorgos
è l'ultima a tenere riunite e sottovento, assieme a Naxos, le perle
delle Piccole Cicladi, tutte a un tiro di traghetto veloce -
Koufunissi (visitata comodamente in una giornata), Iraklia, Dounussa
e Schinoussa - ognuna piccolo paradiso di spiagge trasparenti, acque
minerali, sabbia candida a sfidare l'abbacinare delle casupole a
calce.
Fantastica
la caccia al tesoro fuori ogni piccola candida chiesetta. A centinaia
sull'isola. Tutte da fermarsi spesso su cigli di strada improbabili,
e andarle a scoprire, a salutare intimamente.
Sono solitamente chiuse a chiave. Ma a ben guardare, sotto un piccolo vaso, in un pertugio anomalo di muretto a secco, o a fianco di una grossa pietra, c'è riposta la piccola chiave di entrata. Al termine di ricerca e visita - spesso dopo aver acceso un piccolo cero ortodosso affondato nella sabbia - alle rassicuranti icone illuminate da miriadi di lampade votive, si chiude la cappella e si ripristina il piccolo segreto.
E poi c'è lui.
Forse, anzi senz'altro, il motivo principale per cui ho scelto - responsabilità mia stavolta - Amorgos.
Il monastero di Hozoviotissa.
Incastonato come diamante di luce nella roccia a strapiombo.
Incanta
e provoca brividi di emozione solo a scorgerlo.
Un
assurdo architettonico spalmato a parete. Un miracolo balistico.
Sfida
alla gravità e a tutti i consueti canoni. Uno spicchio di bianco
sospeso tra mare e cielo. Un omaggio alla fede. Miracolo terreno.
Ci
si arrampica in verticale nel convento, dopo i primi
trecentocinquanta scalini dalla base del parcheggio, tra corridoi
angusti ricavati dal profilo della montagna, e ogni tanto una
finestrella ingoia luce e cielo, fino al culmine, terrazza sull'Egeo
stupito anch'esso, dove i frati ci offrono acqua fresca e biscottini.
Si
va via col cuore gonfio, gli occhi felici.
Ultimo
cenno per le walk road.
Nelle
Cicladi più genuine, inviolate, il mare più autentico è conquista.
Sentieri che si dipanano dal cielo di montagne in picchiata, che a
vederlo dall'alto, quell'azzurro lontanissimo,
sembra un miraggio
indefinito, con le rocce irregolari a demolirti caviglie e ginocchia
e infiniti cairn (dolmen li chiamiamo ormai da sempre Lulù ed
io, piccole piramidi di sassi segna sentiero, “marcatori di
territorio”) a non farti sviare ad ogni dosso, ogni cespuglio e
rovo da aggirare.
E
una volta giù il mare ti quieta anima e corpo. Certo si dovrà
risalire. Ma con un tesoro in più negli occhi. E i preziosi dolmen
per guidarti fino a casa.
Si
riparte alla fine. Amorgos non ha più segreti o quasi. Due settimane
per spulciare spiagge e baie sconosciute ai turisti mordi e fuggi.
Due
settimane per creare complicità e confidenza.
Per
darsi reciprocamente del tu.
Per
conservarla indelebilmente nel cuore, Le Gran Bleu.
Dove
Luc Besson ha girato l'omonimo film.
Affascinato
e stregato anche lui.