E’ una
recensione anomala la mia.
Nella
fattispecie: molto di parte.
Sono romano
de Roma. Nasco praticamente col
GRA.
“Faccio
il raccordo” è una frase idiomatica d'uso universalmente
riconosciuto, nella galassia capitolina.
Lo
pratico in entrambi sensi: interno, esterno, orario ed anti.
Lungo
i suoi 68 chilometri ho battezzato il mio primo, emozionante,
“anello” in bicicletta.
Il
GRA mi ha visto passeggiare e giocare a pallone nelle domeniche
dell'austerity con le auto costrette in garage.
Ci
ho anche fuso un motore, per correre da un vecchio amore.
L'ho
percorso con la neve, la grandine, la pioggia torrenziale, il vento a
raffica ed il sole che squagliava il catrame.
Ho
incidentato anche, sul GRA, e ci sono rimasto senza benzina.
L'ho
transitato col carro attrezzi, ed attraversato stupidamente a piedi,
al tempo delle sfide di adolescenza sbruffona.
L’ho
visto crescere, da due timide corsie a tre, spesso insufficienti.
Sono
uscito ed entrato da tutte le sue uscite e tutte le sue entrate (che
non sono poche), ho testato tutte le sue “inversioni di marcia”,
dato appuntamenti e preso buche (in tutti i sensi).
Il
mio scooter, re della corsia d'emergenza, ne conosce infossamenti e
cicatrici, ne ho utilizzato tutte le aree di servizio, fatto la spesa
di notte e di giorno.
Certo
non tutti i giorni, ma ieri c’ero e lo prenderò anche domani.
La
sua forza centrifuga mi ha proiettato, alternativamente, verso il
mare, la neve, i castelli romani, la Tuscia.
O
anche solo da nord a sud e viceversa, che a Roma è già “viaggio”.
Quella
centripeta verso i palazzoni che si divorano gli ultimi appezzamenti
di verde asfittico, e vorrebbero uscirne e scavalcarlo con un salto,
scrollandosi da quell’amorevole abbraccio.
Faccio
ogni volta l'amore con l'Ikea che spunta dalle sue sponde di
guardrail consunto, sogno di puntare Fiumicino ed un aereo tutto per
me, scorgo la neve appenninica e slalomeggio con l'auto, come su un
mio personale circuito.
Ma
ne sono rimasto anche ostaggio, nel traffico ossidato, e spesso per
ore, a sognare un'uscita da (in)gorghi indicibili, a scrivere mille
sms, a leggere il giornale o interi capitoli di libri, fermo o ad
indolente passo d’uomo, sbirciando le altre auto, colme anch’esse
di speranze e rabbie, a sbirciare fuori dal guscio, a loro volta.
E
di nuovo, mi sono ritrovato ostaggio, ieri al cinema.
Dove
Rosi ha preso spunto dal nostro raccordo - intrigato dal calembour
dell’acronimo GRA che giocava con un calice decisamente più
famoso -, trasformandolo in pretestuoso perimetro di vita da
consolari, di viottoli bui, lucciole da bar, chioschi balordi,
stradine abbandonate, ricovero di reietti ed emarginati, figuri e
figuranti, case popolari e decadute ville kitsch, ma tutto
assimilabile alle periferie dismesse di mezza Italia e senza alcun
“raccordo” tra loro: pescatori di anguille, prostitute fuori
tempo massimo, cacciatori di “punteruoli”: tutti costretti a
recitare malissimo, spesso ridicole macchiette, qualche rarissimo
flash di fotografia sognante col GRA di sguincio, contro mille
inquadrature da incubo pseudocinematografico, scorci di vita
fradicia e personaggi a margine che il GRA non sanno neanche dove si
prende, più altre, inconciliabili, parentesi (come le salme
riesumate, i russi cerimonieri, i camerieri fotoromanzati), spesso con nulla
di, neanche apparentemente, relazionabile tra loro.
Ma
cosa pensavano di cogliere dal mio GRA?!
E
scorgere in questi giorni, sui display elettronici del mio raccordo,
la scritta: “Il vostro GRA vince il Leone d’Oro”,
suscita
tenerezza mista a risentimento.. chissà se quell’asfalto potesse
andare al cinema... urlerebbe SOS, come le colonnine che ad
intervalli regolari vengono in aiuto all’automobilista in panne...
Due
anni di riprese di grande raccordo anulare più otto mesi di
montaggio - mi dicono - e non percepirne uno straccio di spirito di
connivenza coi romani, ma solo quello pruriginoso di un regista da
filmetto amatoriale, che coi fotoromanzi, immagino, se la cava
probabilmente meglio...
In
uno dei siparietti più deprimenti, un padre “ottocentesco” si
affaccia alla finestra ed indicando lontano esclama alla figlia
inchiodata al computer...: “il cupolone si vede anche da qua,
incredibile” (si vede che non s'era mai affacciato prima...).
Avrebbe
anche potuto dire: “il raccordo si vede anche da qua, incredibile”.
Cosi
come l'ha visto Rosi, perché è proprio cosi che l'ha visto 'sto
regista.
Da
lontanissimo.
Sbiadito e nebuloso come l'autentico anello di Saturno
chiamato in causa ad inizio docufilm.
Altro
che Leone d'Oro.
Io
neanche un Gatto Randagio di Plastica gli avrei dato...