giovedì 31 dicembre 2015

BUON 2016!!


Questo appena trascorso lascia ferite, squarci e dubbi.
Cose, viaggi, luoghi e persone belle anche, anzi bellissime.

Ma casini innanzitutto.

Per il 2016 prevedo gatte da pelare
E come si pela una gatta non lo trovo manco su Google.

Buon Anno amici..
qui, intanto, ci si rimbocca le maniche alla Dado




SANSEVERO E IL CRISTO (RI)VELATO


Barocca e massonica la Cappella Sansevero di Napoli, per altro sconsacrata?

Non ci interessa.

Quello che conta è la pelle d’oca quando mai crederesti.
Fuori un’entrata discreta, quasi ad attutire la curiosità.
Ma appena varcata la soglia la Cappella ti avvolge, ti prende per mano e ti trascina a se, le dimensioni ridotte generano un fenomeno simile.
Se nella Cappella Sistina ti senti circondato dallo stupore, gli spazi ampi e le altezze attutiscono questa sensazione.




La pudicizia di Antonio Corradini (1752)

Sansevero ti abbraccia stretto invece, lambisci quei marmi ricamati, le pitture che tracimano da ogni dove, un barocco ricco e ridondante ma incredibilmente gotico nei fraseggi di scalpello e negli affreschi di contorno.
Cotto napoletano a terra, a completare memoria accennata di azzardi labirintici.


Il Disinganno di  Francesco Queirolo (1752)

Vieni letteralmente assalito da un’orgia di splendore, uno tsunami di arte assoluta che lascia col fiato mozzato ovunque tu volga lo sguardo.
Quello che conta è lo smarrimento dei tuoi occhi annichiliti da bellezza senza pause; il particolare ti chiama, ti circonda e ti veste il cuore di emozione.

Non usciresti più.

Vaghi da un angolo all'altro, da una cappellina a un mausoleo, dall'altare a sculture neanche mai lontanamente osservate e immaginate... 
e il Cristo Velato in mezzo a dominare.



Un Cristo incredibile, di una leggerezza aerea, temi che una folata d’aria possa denudare quel corpo, quel marmo trasparente.





Particolare del velo


Cristo velato di Giuseppe Sanmartino (1753)

Resti a bocca aperta, fiato sospeso, a esplorare ogni millimetro di questo Dio velato da una mano umana, ma divina anch'essa.



Un’opera purtroppo ancora troppo sconosciuta, che emana luce e purezza, che incanta e stupisce.

Noi ancora senza meta per la Cappella, ubriachi di grazia, e un senso di quiete interiore che sorriderà per ore.. 





domenica 27 dicembre 2015

IRRATIONAL MAN (IL TRAMONTO DI WOODY...)


Rieccolo Woody Allen. Ci spiattella un altro simil Match point, piaciuto tanto, tra l'altro, a tutti quelli che pretendono da un thriller la stessa rigorosità di una commedia brillante.
Un Phoenix dalla panza ipnotizzante, Professore di Filosofia Spicciola (si, quella degli aforismi di Facebook..) depresso e stanco della vita, ingarbuglia caso e casualità, romanticismo e disperazione, uscendo dalla fase noir della sua vita grazie a una botta da Giustiziere della notte.


Il problema base è questo: Woody abbandona sempre più spesso la sua matrice naturale per giocare al thrillerista casareccio.
Non una sola volta riusciamo a sorridere in questa pellicola. Sorridere dei drammi, delle nevrosi, dei tic, degli stop della vita.
Una delle magie di Allen era proprio questa: la sdrammatizzazione della tragedia.
Gli è rimasta l'esaltazione del tormento, del disagio, dell'inadeguatezza.
Ma anche della profonda inadeguatezza, a supportare un meccanismo thriller che renda il film accettabile. Almeno da quel punto di vista.
Se c'è una cosa che fa sorridere, in questi Allen new style, è la pressapochezza che tracima copiosa. Ma è sorriso amaro, del quale avremmo fatto volentieri a meno.

...facce spara' a noi, dai.. 

Il resto è fuffa chiacchiericcia, dal fumo pseudo filosofico (“c'è differenza tra il mondo teorico e la vita vera” ma dai!?.. ) al telefilmetto ricco di personaggini piatti e scontati come un panettone postnatalizio.
L'Allen di vent'anni fa avrebbe terminato la pellicola lasciandoci piacevolmente sconvolti... niente di tutto questo.
Ci adeguiamo pedissequamente al delitto e castigo dostoevskijano senza neanche una traccia del mitico Super Allen del quale siamo, in cuor nostro, ancora follemente innamorati.
E continueremo anche in futuro, solo in nome del suddetto immenso amore, a correre al cinema in attesa di antiche, luminose scintille.


Ma i delitti perfetti, per favore.. lasciateli a Hitchcock.

"Certo come avrò fatto a innamoramme de te co' quella panza..."
"E si perchè tu con quelle gambettine rinseccolite..."
 

sabato 26 dicembre 2015

IL PONTE DELLE SPIE


Spielberg se ne esce tomo tomo cacchio cacchio col suo bel filmone di spie e contro spie, congiure, sotterfugi, doppi e tripli giochi.. tutto a stridente contatto col sogno americano, Lealtà e Libertà garantite a tutti, indistintamente. 
Amici e nemici.
Due lati della stessa medaglia che faticano a convivere, anzi, fanno storcere il naso a parecchi.. paladino di questa crociata un Tom Hanks in grande spolvero, dal sorriso affabile e i modi piacevoli, sornione e discreto quanto basta, tosto e deciso quanto serve, specie quando c'è da trasmettere una convinzione, un sentimento, un principio.
Un film sui diritti riconosciuti all'essere umano. A prescindere. 
Un precetto sempre valido.
Se ci mettiamo a ragionare come loro, svalutiamo i nostri ideali, svendiamo la nostra visione di vita, quella che riteniamo valida, non possiamo insegnare più nulla”.


Un film compassato anche, verboso, claustrofobico, chiacchierato e manierato, scontato per certi versi ma che ci cala in un'epoca realmente vissuta di guerra fredda.. quando parecchi fragili equilibri si reggevano solo sul tenere sulle spine il nemico; con un bluff, con una promessa, un patto.
Blocco occidentale contro blocco orientale. Tutto un frenetico agitarsi sotto traccia solo per scoprire cosa trama l'altro, uno starsene maniacalmente accorti, all'apparenza, gestendo alleanze e infiltrandosi tra le linee nemiche sotto forma di Grande Fratello.


Ma Spielberg non si limita solo all'affresco nebbioso, all'elogio dello stratagemma: in una scena da manuale - cinque minuti cinque - ci incolla alla poltrona e ci proietta sullo schermo nel dramma di un pilota spia americano abbattuto mentre, a bordo del suo aereo, tenta di infiltrarsi in territorio sovietico.
Una scena che si beve da sola tutti gli effetti dell'ultimo clownesco Star Wars.


Tanto per sottolineare: io sono Steven Spielberg,  faccio Cinema.. voi altri.. non lo so.. 

  

giovedì 24 dicembre 2015

Buon Natale...




Buon Natale di tempo che ci scivola tra le dita
senza un'idea di cosa doverne fare

Buon Natale a chi va a messa una volta l'anno. Questa.

Buon Natale di regalo a noi stessi, ancora curiosi di scartarlo.

Buon Natale a quelli che fanno piangere,
a chi fa soffrire senza neanche pensarci troppo

Buon Natale a chi riesce a liberarsi di tutti i sorrisi

Buon Natale a chi è felice con quello che ha
senza vivere all'inseguimento costante

e Buon Natale

a chi è stanco di natali buoni.

domenica 20 dicembre 2015

STAR WARS - IL RISTAGNO DELLA FORZA

"E se infilassi gli arrosticini? Me restano belli caldi..." 

Guerre stellari si veste da fumettone fracassone e torna, o perlomeno crede, pensando di far sognare. In realtà trattasi di semplice Star wars 2.0 ad altissimo contenuto di Hunger (video) games, concepito per un 3D dei poveri che, almeno quello, per fortuna, ce lo siamo scansati.. ci sono sì i richiami, il risveglio di ologrammi incartapecoriti (Han Solo su tutti, Harrison Ford che scimmiotta pure Indiana Jones sparando alla cieca sui nemici dell'Ordine.. pupazzetti cosi da spiaggia, incapaci di colpire un bersaglio a un metro, votati alla auto decimazione sistematica, che se fossero tutti così i nemici della Resistenza.. lo spazio sarebbe un'oasi di pace perfetta..)

Me gira la testa...

Non mancano le note positive.. il robottino rotolante BB-8 su tutti.. poi i leggendari titoli iniziali.. il raggio laser che avresti voglia di vederlo in versione colonscopia a surrogare efficacemente il liquido di contrasto bruciandoti all'istante pure le ulcerette in eccesso... strano che non ci abbiano pensato alla Walt Disney.. subentrata entusiasticamente in produzione alla Lucas Film .. una delle vette più alte come intensità emotiva è certamente il flusso emotivo provocato dal tocco della ritrovata spada laser da parte della protagonista Rey, donnina nostalgica e romantica ma che fa molto Mad Max in un futuro disadattato.
Il nuovo simil Darth Vader suscita teneri sorrisi col suo laserino modello Re Artù, specie ogni volta che si indispone e si sfoga sulle apparecchiature di bordo.. apprezziamo comunque il tentativo di fornire spunti di continuità, dai cupi attentatori del Primo Ordine al servizio di un Lato Oscuro un po' gigione, alle fumose taverne piene di alienoidi improbabili, agganci che rendono meno distante un Passato che incombe come un macigno.. 


ma alla fine ci sembra che il compromesso raggiunto risulti un novello start up che paga troppi pegni.. fa sicuramente da tappetino di benvenuto e trampolino di lancio ai prossimi due episodi della nuova trilogia annunciata (certo non perdo il sonno per i 730 giorni che mancano al secondo episodio..), cerca di vestire la nuova eroina di linfa vitalizzante pur convincendo solo a metà, investe su Finn (un Boyega dallo scarso appeal) e riesce soprattutto in una mission possible, tranquillizza le migliaia di fans di tutto il mondo: se questi sono i nemici... lunga vita alla Resistenza!


p.s. Ma Luke Skywalker che se ne stava cosi tranquillo a Ponza? Perché andarlo a distogliere da succulente ricciòle all'acqua pazza?
Lo sapremo solo nel prossimo episodio...




sabato 19 dicembre 2015

ANTONIO REZZA "ANELANTE" (L'ALTRO TEATRO...)



Rezza è per certi versi rassicurante nei suoi eccessi, nelle sue tiritere musicali, coi suoi ritmi indiavolati, col suo ingarbugliarsi di parole.

La rende musica, la parola.

Senza uno strumento in scena mette su un concerto di voci e corpi, danze mentali che scuotono il convenzionale, che tirano giù dal letto il nostro stantìo approccio al teatro, fanno a fettine le nostre credenze e pure i nostri armadi ricolmi di scheletri.

Rezza libera liberandosi.



I suoi personaggi folleggiano facendo pensare ognuno alle nostre inutilità quotidiane. Ai nostri falsi miti. Alle nostre necessità che non si realizzano perché rimaniamo schiavi. Probabilmente preferiamo rimanere schiavi.
Rezza ci da una scossa.
Stavolta con l'aiuto di altri quattro artisti eclettici, in corpo e voce, come lui, a riempire lo spazio e il vuoto, una scenografia con una sola parete piena di buchi/finestre (un must tocca ammetterlo..complice l'eterna collaboratrice Flavia Mastrella) dalle quali appaiono e scompaiono mille spunti e mille provocazioni.



Ma non c'è un angolo di palco che non venga coinvolto. Non c'è un briciolo di cervello che non venga sferzato. Un grammo di sensibilità che non venga sollecitato.

Assistiamo allo spettacolo delle nostre assurdità. Quelle che portiamo in scena ogni giorno convinti di fare bene.

E invece ossequiamo un diritto d'autore sconosciuto.
Che dispone di noi come vuole.


martedì 15 dicembre 2015

LA FELICITA' E' UN SISTEMA COMPLESSO (TROPPO)



Anche il cinema è un sistema complesso. Come la recitazione. La scelta dei personaggi. Gli atteggiamenti della sceneggiatura. La scelta degli spazi musicali e visivi.
Zanasi sembra imbarcarsi in un'avventura ardita, perdendo subito il senso della misura.
Un lavoro difficile da spiegare” quello di Mastandrea che si sbarazza di manager alla frutta. Ma dove tutto il lavoro di cesello ai fianchi non viene praticamente mai mostrato, con personaggini che hanno già il biglietto in tasca per Costarica o Nuova Zelanda, se non quando si tratta di raccogliere l'ultima firma di dimissioni.
Oltretutto amico e confidente - in clamorosa contraddizione - dell'infingardo figlio del suo datore di lavoro, sicuramente l'unico manager visto all'opera da segare immediatamente e spedire al confino.
E con l'ultima impresa (che gli costerà il posto tra l'altro), lo vediamo che tenta di ridurre alla ragion di stato due adolescenti orfani ed ereditieri di una grossa attività imprenditoriale, e non scopriremo che l'istrionico e sentimentale perdente già abituati a conoscere nel cinema che gli è più congeniale: un Mastandrea che gioca nelle sue corde tra l'eccesso e il grottesco.
Molta, troppa carne al fuoco: l'israeliana da far vedere coi capelli unti quando fa comodo (che progetta strisce di Gaza nel nuovo mondo dove viene accolta samaritanamente - e qua un bel Mastandrea personaggio, quando l'accusa di suicidio simulato -), gli orfani disegnati catatonicamente in parole e comportamenti, lo squallido mondo di pescecani che regola economia e società, Mastandrea che s'immola come può e rende credibilità - anche se appare un controsenso - solo quando esce dalle righe (tuffi in piscina, improbabili partite a rugby, inseguimenti in bici, stonatura di canzoncine a metà tra Sanremo e lo Zecchino d'oro, passeggiate in montagna vestito da ufficio).

"...proprio 'na bolla de sapone.. 'stò firm..."

Il cinema è un sistema ben complesso e a passi indietro, come con la reiterata Moonwalk del celebre Michael, si rischia il tonfo per le scale o, come in questo caso, la scivolata verso un cinema spalmato di filosofia new age, come uno degli infiniti post facebook coi quali tutti si riempiono la bocca mentre nella vita rinunciano. E nel cinema gettano fumo negli occhi.
Ed infatti è film d'immagini se vogliamo proprio starlo a salvare, e suoni soprattutto, deliziato da frequentissimi intervalli sonori di altissima qualità, dalla darkwave dei Dead can dance alla tenerezza romantica dei Nouvelle Vague.
E allora ci teniamo strette queste emozioni uditive e lasciamo che Zanasi si balocchi con sistemi meno complessi.

Dia retta. 

lunedì 7 dicembre 2015

DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES (no alle Maldive.. forse è per questo che je rode un attimo...)

"Ve sistemo io.. ridicoli omuncoli.."

Sopravvive a Bruxelles, direi. Perché il dio disegnato da Van Dormael la subisce la città, grigia e uggiosa. Costretto ad affrontarla viene picchiato e affamato, trattato nello stesso modo col quale le sue leggi flagellano il pianeta, e quando non lo flagellano lo rendono perlomeno irritante, come già Murphy ci insegna ogni santo giorno, uno di quegli innumerevoli giorni dove la pellaccia la portiamo a casa, ma la sfiga ci sconquassa a ripetizione.
Impariamo che oltre a Gesù, figlio ribelle che “recita a braccio”, c'è una sorellina insofferente e una mamma dea pazientemente rassegnata alle paturnie del marito.

"Paradiso terrestre?!.. Mortacci!.."

La ragazzina decide di scrivere un “nuovo nuovo” testamento cercando sei apostoli (“dodici son troppi e ti sfuggono di mano” gli confida il fratello maggiore..) e prima di mettersi all'opera sventaglia a tutto il mondo la data di morte di ognuno.
Idea brillante. Pensate cosa scatenerebbe una presa di coscienza simile. Non voglio manco pensarci.

"Vi faccio a pezzi!.."

C'è questo film bastardo e irriverente a farlo per noi. Lirico e burbero, grottesco e luminoso. Comico e sapiente. A volte sfarfalla per una tangente lontana ma spesso azzecca la mira su manie e crepe mentali tipiche del nostro stressato tirare avanti, si frammenta tra siparietti deliziosi e parentesi di altissima poesia visionaria, come il sorriso identificato in una cascata di perle per le scale.
Vuole alleggerire il destino surrealizzando i nostri timori e i nostri interrogativi, Van Dormael. 
E si affida intanto a un Dio vestagliato e ciabattato, cinico e baro, egoista e violento, sadico e ridanciano ma pure annoiato e visibilmente irritato con questi umanoidi che non fanno altro che annientarsi in “suo” nome.

"Sereni.. ci penso io a voi..."

L'umanità ha preso una brutta piega, Gesù gioca alla statuina, Dio beve birra.. forse servirà un reale tocco femminile affinché si riveda la luce. Questo il messaggio di fondo.

E che nessuno ci riveli la data della dipartita, per cortesia.

domenica 6 dicembre 2015

HEART OF THE SEA - Le origini del tonno in scatola...



Non ci fa impazzire questo prequel di Moby Dick. Ron Howard sembra divertirsela molto tra svariati dettagli di camera e computer grafica a volte fin troppo casareccia ma la storia non decolla. Se ne resta a velocità di pacifica crociera.
Tanto per rimanere in tema.


Le interpretazioni simboliche che vorrebbero scrutare animi umani e capodogli irrequieti tra gli abissi e le tempeste, si attestano in fragile superficie, come le barchette degli intrepidi balenieri, facili da spazzare via con un colpo di coda e una digitalizzazione azzardata.


Il cuore del mare svolazza veloce e il clou della storia - la balena che affonda la nave - liquidato alla bell'e meglio.
Troppo il déjà vu: i contrasti tra capitano e ufficiale, la balena che insegna l'etica, i naufragi, la fame, la solitudine, il ritorno a casa.
Viene in mente Cast away più che Lo squalo, ma in una versione frettolosamente pocket.



..e torniamo a casa pure noi ricordando di aver assaggiato balena affumicata a Bergen e anche che, con l'arpione, manco una trota riusciremmo a prendere..